1. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 245/2019, depositata il 29 novembre 2019[1], ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”.
Il procedimento avanti la Consulta trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Udine, in composizione monocratica, depositata il 14 maggio 2018, con la quale il giudice rimettente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della sopra indicata norma in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, con specifico riguardo al “divieto” di falcidiabilità del credito IVA nel sovraindebitamento.
Il giudice a quo, nel caso concreto, era chiamato a decidere sul profilo di ammissibilità di un ricorso volto ad ottenere l’apertura di una procedura di sovraindebitamento in relazione ad un accordo di composizione della crisi, ex art. 7, comma 1, L. n. 3/2012.
Il piano predisposto dal debitore prevedeva il pagamento integrale dei soli crediti prededucibili, mentre per tutti i crediti concorsuali, anche di natura privilegiata, fra i quali – appunto – il credito IVA, era prevista la soddisfazione in misura parziale.
In particolare, tutti i creditori prelatizi erano stati accomunati ai creditori sprovvisti di cause di prelazione e, dunque, erano stati iscritti in un’unica classe chirografaria, stante l’assoluta incapienza dei beni/diritti su cui insistevano le prelazioni.
Secondo la lettera dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 l’obbligazione tributaria relativa al tributo IVA (oltreché quella relativa alle risorse proprie dell’Unione Europea e delle ritenute erariali) deve essere assolta in misura integrale, potendosi prevedere unicamente un pagamento dilazionato.
Prima dell’intervento della Consulta, vi era diversità tra la disciplina del concordato preventivo (possibile la falcidia IVA ex art. 182-ter l. fall., come adeguato dal legislatore in funzione dei dettami comunitari[2]) e la disciplina del sovraindebitamento (divieto di falcidia IVA), ciò determinando una non giustificata disparità di trattamento.
La Corte Costituzionale, con la sentenza sopra richiamata, ritenendo fondata la questione di legittimità posta dal foro friulano, con particolare – ed assorbente – riferimento all’art. 3 Cost., ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 nei limiti della locuzione “imposta sul valore aggiunto”.
La Consulta, sul presupposto del parallelismo tra strumenti negoziali in ambito di sovraindebitamento e procedura concordataria, sia sotto il profilo della “filosofia” di fondo, sia sotto il profilo sostanziale, ha rilevato la necessità di un trattamento comune ai fini del tributo IVA, estendendo così – di fatto – al sovraindebitamento la disciplina prevista in tema di transazione fiscale dal vigente art. 182-ter l. fall.
D’altra parte, la riconducibilità a schemi concorsuali delle norme sul sovraindebitamento aveva già indotto il legislatore della delega ex L. n. 155/2017 ad estendere la possibilità di pagamento non integrale a tutti i crediti muniti di legittime cause di prelazione, sussistendo le condizioni di legge.
Tale principio è stato attuato dal legislatore del Codice della crisi ex D.Lgs. n. 14/2019, essendo stata prevista anche in ambito di sovraindebitamento la possibilità di “falcidiare” tutti i crediti prelatizi (ivi incluso il credito IVA), purché sia loro assicurato un pagamento non inferiore rispetto a quello realizzabile in ragione della collocazione preferenziale in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni e/o diritti su cui insiste la prelazione.
2. La legge 27 gennaio 2012, n. 3 rappresenta una normativa speciale ed autonoma applicabile al debitore che venga a trovarsi in una situazione di sovraindebitamento (strutturale squilibrio tra debiti e patrimonio liquidabile; incapacità di far fronte alle obbligazioni).
Fermi tali profili di specialità ed autonomia, la L. n. 3/2012 è stata modellata dal legislatore – peraltro in un momento di radicata crisi economica – su schemi mutuati dalla legge fallimentare.
Invero, la legge sul sovraindebitamento aveva in origine natura perlopiù negoziale, prevedendo – in sintesi – che l’efficacia dell’accordo omologato fosse circoscritta ai soli creditori aderenti.
Il D.L. n. 179/2012, convertito in L. n. 221/2012, mutò sin da subito la portata del sovraindebitamento, connotandolo di marcata concorsualità e dunque, in sostanza, trasformandolo da strumento contrattuale a strumento concordatario.
Con riferimento agli strumenti “ristrutturatori” previsti dalla L. n. 3/2012 (accordo del debitore, piano del consumatore), si segnalano alcuni dei principali tratti concorsuali.
Il debitore può prevedere la suddivisione dei creditori in classi.
I creditori prelatizi (con esclusione dei crediti impignorabili, da soddisfarsi “regolarmente”, e di quelli costituenti risorse proprie dell’UE, del tributo IVA e delle ritenute) possono essere soddisfatti in misura non integrale, sempreché sia assicurato loro un pagamento non inferiore rispetto a quello realizzabile in ragione della collocazione preferenziale in caso di liquidazione, tenuto conto del valore di mercato degli assets su cui insiste la prelazione, come attestato dall’OCC.
L’accordo di composizione esplica efficacia, oltreché nei confronti dei creditori che abbiano aderito al piano, anche nei confronti di coloro che si siano pronunciati in senso sfavorevole all’accordo.
In questo caso, il giudice procede all’omologazione qualora, all’esito di un giudizio “prognostico”, ritenga che il creditore dissenziente possa essere soddisfatto in misura non inferiore rispetto all’alternativa ipotesi liquidatoria.
Ciò vale anche per il piano del consumatore, per quanto tale strumento prescinda dal consenso dei creditori (il giudice omologa il piano al verificarsi dei presupposti ex art. 12-bis, comma 3).
Sia la proposta, sia il piano possono prevedere una moratoria ai fini del soddisfacimento dei creditori prelatizi sino a un anno dall’omologa, sempreché non sia prevista la liquidazione dei beni/diritti oggetto di prelazione.
Il deposito della proposta e/o del piano sospende, ai soli fini del concorso, la produzione degli interessi convenzionali e/o legali, con esclusione di quelli che accedano a crediti privilegiati.
Una volta depositata la proposta, il giudice, con provvedimento, dispone che sino alla definitiva omologazione non possano essere iniziate né proseguite azioni esecutive, né essere disposti sequestri conservativi, né acquisite prelazioni da parte di creditori aventi titolo/causa anteriore – e ciò a pena di nullità, salvo che non si tratti di soggetti titolari di crediti impignorabili.
Sino all’omologazione, inoltre, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione compiuti senza autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori aventi titolo e/o causa anteriore alla data di pubblicazione del decreto di fissazione d’udienza.
I crediti sorti in occasione e/o in funzione del procedimento sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca, per la parte destinata ai relativi creditori garantiti.
Una volta omologato l’accordo, ai creditori aventi causa e/o titolo posteriore è precluso di procedere in via esecutiva sui beni oggetto dell’accordo; in caso di successivo fallimento del debitore, gli atti, i pagamenti, le garanzie poste in essere in esecuzione dell’accordo, non sono soggetti a revocatoria fallimentare.
Con riferimento al piano del consumatore, il giudice, nelle more della convocazione dei creditori, può disporre la sospensione dei procedimenti esecutivi, sino alla definitiva omologazione, qualora dagli stessi possa derivare pregiudizio alla fattibilità del piano.
In questo caso, dal decreto di omologazione, i creditori con causa e/o titolo anteriore non possono iniziare/proseguire azioni esecutive e/o cautelari, né acquisire diritti di prelazione sul patrimonio del consumatore.
Infine, considerata la natura concorsuale del procedimento, si ritiene che debba essere sempre rispettato il principio di parità di trattamento fra creditori chirografari.
Peraltro, la L. n. 3/2012, nel prevedere la possibilità di suddivisione dei creditori in classi, non fa alcun cenno al requisito di omogeneità dei crediti “classati”, a differenza di quanto accada in ambito concordatario.
La norma che prevede la generica formazione di classi nel sovraindebitamento (art. 7, comma 1, L. n. 3/2012) dovrebbe dunque essere integrata, in via interpretativa, dall’art. 160, comma 1, lett. c), l. fall., che detta peculiari condizioni in termini di omogeneità ai fini della formazione delle classi nel concordo.
Così, ove la proposta in ambito di sovraindebitamento preveda la suddivisione in classi, il trattamento differenziato fra le diverse classi sarebbe legittimo solo qualora vi sia identità di posizione giuridica fra i crediti classati, nonché omogeneità d’interessi economici, applicandosi all’interno delle singole classi parità di trattamento fra creditori[3].
3. Il credito tributario si caratterizza per la propria natura pubblicistica, trovando la sua fonte nella norma di legge; ove il contribuente acceda al sovraindebitamento, il credito fiscale viene a trovarsi di fronte ad un procedimento dai ricordati tratti concorsuali.
Quanto sopra determina due effetti rilevanti.
In primo luogo, i crediti fiscali – salva l’eccezione prevista dall’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 – sono soggetti, come ogni altro credito privilegiato, alla falcidia ex art. 7, comma 1, secondo periodo, L. n. 3/2012[4].
Ciò vale anche per i crediti di titolarità degli enti locali, ove anche non gestiti dalle agenzie fiscali – e ciò a differenza di quanto accada nell’ambito della transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall., norma non applicabile se non ai crediti amministrati dagli uffici erariali.
In secondo luogo, per effetto del provvedimento del giudice opera, nell’ambito del sovraindebitamento, il divieto di avviare e/o proseguire azioni individuali, tanto esecutive, quanto cautelari.
Per quanto, sotto un profilo generale, la legge attribuisca agli enti impositori la possibilità di far ricorso ad una serie di strumenti esecutivi e/o cautelari in funzione esattiva[5], una volta che il contribuente faccia ricorso al procedimento di sovraindebitamento, le azioni fiscali, esecutive e/o cautelari, così come per “qualsiasi” altro creditore, si arrestano ex lege.
4. L’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, nel prevedere che i tributi costituenti risorse proprie dell’UE, l’IVA e le ritenute debbano essere pagati integralmente, salva dilazione, richiama implicitamente l’art. 182-ter, l. fall., in tema di transazione fiscale, nella formulazione vigente al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 179/2012.
Il tema della “intangibilità” del tributo IVA prende vigore con l’introduzione del sopra ricordato art. 182-ter, l. fall., ad opera dell’art. 146, D.Lgs. n. 5/2006[6].
La “prima” versione dell’art. 182-ter l. fall. ammetteva il pagamento parziale dei soli crediti tributari amministrati dalle agenzie fiscali di natura chirografaria.
Tale norma prevedeva poi, espressamente, che i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea fossero pagati integralmente, salva dilazione, mentre niente si diceva circa il tributo IVA, né le ritenute erariali.
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, con l’intento di colmare tale vuoto normativo, ha rilevato come il tributo IVA fosse da ricomprendere fra le risorse proprie dell’UE, escludendone quindi la possibilità di falcidia in sede concordataria.
Contestualmente, in ambito comunitario, entrava in vigore la direttiva 2006/112/CEE, in sostituzione della direttiva 77/388/CEE.
Quest’ultima aveva statuito regole e criteri circa l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia d’IVA: i Paesi membri erano chiamati ad adottare misure idonee a garantire che il tributo fosse integralmente riscosso, senza difformità nella relativa struttura.
La direttiva 2006 dava atto che i bilanci comunitari sono integralmente finanziati da risorse proprie, includendovi il gettito IVA, ottenuto tramite l’applicazione di un’aliquota comune assunta su una base imponibile armonizzata.
Nel frattempo, è andato consolidandosi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE l’orientamento secondo cui sono incompatibili con le regole comunitarie le legislazioni che limitino la riscossione del tributo IVA, salvo deroghe che trovino fondamento su principi di bilanciamento con diritti fondamentali (es., durata del processo).
In questo contesto, il legislatore nazionale, con D.L. n. 185/2008, è intervenuto sull’art. 182-ter l. fall., prevedendo che per il tributo IVA e le ritenute erariali la transazione fiscale non potesse prevedere se non una dilazione di pagamento, fermo dunque l’integrale adempimento.
La Corte di Cassazione ha dapprima ritenuto che l’art. 182-ter costituisse norma eccezionale, dalla natura sostanziale e non procedurale, riconducibile al principio d’intangibilità delle risorse UE e che, pertanto, il divieto di falcidia IVA fosse applicabile ove anche la proposta non contenesse la transazione fiscale[7].
Fra l’altro, la necessità di osservare il precetto comunitario avrebbe legittimato che un privilegio di rango arretrato, qual è quello che assiste l’IVA, venisse di fatto antergato agli altri privilegi poziori, divenendo, così, sostanzialmente prededucibile.
Tale circostanza avrebbe reso “necessitata”, secondo la Suprema Corte, una deroga al principio di non alterabilità dell’ordine dei privilegi[8].
Successivamente, la Cassazione ha mutato il proprio orientamento, ritenendo che il divieto di falcidia del tributo IVA – eccezione alla regola generale di falcidiabilità dei crediti privilegiati –, non potesse operare se non all’interno della proposta concordataria con transazione fiscale[9].
Pertanto, fuori dalla proposta di transazione fiscale, il piano concordatario poteva prevedere la falcidia del credito IVA, ferma la sussistenza delle condizioni ex art. 160, comma 2, l. fall.
La Cassazione, nel giungere a tale conclusione, ha peraltro tratto spunto proprio dall’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. 3/2012, rilevando come laddove il legislatore abbia voluto estendere in senso generale il divieto di falcidiabilità dei crediti fiscali, lo abbia fatto espressamente, come – appunto – nel caso della L. n. 3/2012.
Sul tema, si è espressa la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare dal rimettente Tribunale di Verona se gli artt. 160 e 182-ter l. fall. fossero in contrato con gli artt. 3 e 97 Cost.[10].
Secondo il giudice a quo, l’impossibilità di falcidiare il credito IVA in sede di proposta con transazione fiscale avrebbe compromesso il buon esito della soluzione concordataria, nuocendo in primis alla stessa Amministrazione finanziaria, stante l’arretrato grado di privilegio che assiste il credito IVA, in sede di successivo fallimento.
La Consulta ha ritenuto infondata la questione d’illegittimità costituzionale, sul presupposto che l’infalcidiabilità del tributo IVA ex art. 182-ter l. fall. discende direttamente dal divieto per gli Stati membri, sancito in ambito comunitario, di rinunziare in modo generale ed indiscriminato all’esazione del tributo.
Non sussisteva, pertanto, secondo la Consulta, alcun profilo di “intrinseca irragionevolezza nella disciplina dettata dal disposto degli artt. 160 e 182-ter l. fall., la quale, ai fini dell’ammissibilità del piano di concordato contenente una proposta di transazione fiscale, regolamenta diversamente il credito erariale IVA, riservando ad esso un trattamento necessariamente differenziato”[11].
Successivamente, il Tribunale di Udine, con ordinanza del 30 ottobre 2014, resa nella fase della valutazione dei presupposti di ammissibilità di una proposta concordataria senza transazione fiscale, ha sottoposto alla Corte di Giustizia UE la questione della compatibilità con i dettami comunitari della falcidia IVA.
La Corte europea, con sentenza del 7 aprile 2016[12], nel confermare che l’art. 4, par. 3, del Trattato, nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273, direttiva 2006/112/CEE impongono agli Stati membri di adottare misure idonee a garantire l’integrale prelievo IVA, ha tuttavia riconosciuto la legittimità di norme interne che consentano al debitore di soddisfare non integralmente il credito IVA nell’ambito di una procedura concordataria – ciò non determinando, a priori, una rinunzia generale ed indiscriminata alla riscossione dell’imposta.
Quanto sopra, qualora il patrimonio devolvibile ai creditori non sia sufficiente ad assicurare il soddisfacimento integrale del credito IVA e laddove un esperto indipendente attesti che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nell’alternativo fallimento.
Inoltre, il procedimento concorsuale deve assicurare all’ente impositore l’esercizio del diritto di voto ai fini dell’approvazione della proposta e poi, agl’esiti, ogni azione di rimedio in termini d’opposizione all’eventuale opposizione[13].
La L. n. 232/2016, ha sostanzialmente recepito i principi della giurisprudenza europea, andando da ultimo a modificare l’art. 182–ter l. fall., con decorrenza dal 1° gennaio 2017.
Per effetto di tale modifica è finalmente venuto meno il divieto di falcidia del credito relativo al tributo IVA – oltreché alle risorse proprie dell’U.E. e delle ritenute erariali.
Il pagamento parziale è ammesso qualora il piano presentato ex art. 182-ter l. fall. preveda la soddisfazione del credito in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile, in ragione della sua collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato dei beni e/o diritti sui quali sussiste la prelazione, come attestato da un professionista indipendente.
Sulla base della nuova formulazione dell’art. 182-ter, in assenza di una proposta concordataria contenente la transazione fiscale, i crediti tributari non possono essere oggetto di pagamento falcidiato.
5. Alla modifica dell’art. 182-ter l. fall. nei termini di cui sopra, non ha fatto seguito alcuna modifica dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012.
Tale norma, pertanto, prima dell’ultima sentenza della Corte Costituzionale, ha continuato a prevedere che nel sovraindebitamento il credito IVA debba essere soddisfatto integralmente, salva la dilazione[14].
In questo quadro di divergenza fra procedure circa un’identica fattispecie, la giurisprudenza di merito ha ritenuto superabile il tenore letterale dell’art. 3, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, in base alle norme ed ai principi comunitari, come interpretatati dalla Corte di Giustizia europea con la ricordata sentenza C-546/14.
Così, il Tribunale di Pistoia, con decreto del 26 aprile 2017, ha ritenuto superabile il divieto di falcidiabilità IVA, dichiarando ammissibile una proposta fondata su immissione di nuova finanza, la quale prevedeva un pagamento non integrale del tributo in oggetto.
Il foro toscano ha aperto il procedimento di sovraindebitamento muovendo da una serie di rilevate “aporie” nel sistema, fra le quali si segnala:
i) la divergenza tra il trattamento IVA ex art. 182–ter, l. fall., nell’attuale, ultima formulazione, ed art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, vertendosi, in entrambi i casi, in ambito di procedimenti concorsuali;
ii) la incompatibilità dell’art. 182–ter l. fall. con gli artt. 2, 250 e 273, direttiva 2006 (i quali, implicitamente, nell’interpretazione della Corte di Giustizia UE, imporrebbero ai Paesi membri di ottenere il miglior risultato possibile ai fini dell’esazione IVA), laddove si limiti la possibilità di falcidia al solo ambito del concordato con transazione fiscale;
iii) incompatibilità dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 con le norme ed i princìpi comunitari, la cui applicazione dovrebbe essere estesa a qualsiasi procedimento avente natura concorsuale.
Il Tribunale di Pistoia – rilevato che il precetto ex art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 si limita a replicare, in modo neutrale, la regola comunitaria (espressa) secondo cui gli Stati membri devono garantire il prelievo integrale IVA – ha statuito che a tale regola debba accostarsi quella (implicita) della massimizzazione delle risorse, da accertarsi nell’ambito di un procedimento concorsuale che assicuri all’Amministrazione finanziaria ogni più ampia e compiuta tutela.
Il suddetto foro territoriale è così giunto a “relativizzare” l’art. 7, comma 1, terzo periodo, riconoscendo la possibilità di derogare il precetto d’infalcidiabilità IVA, in conformità alla ricordata regola della massimizzazione delle risorse, laddove il procedimento di composizione assicuri – come nel caso concreto –, anche attraverso la previsione d’apporto di finanza terza, risultati prevedibilmente migliori rispetto ai diversi esiti liquidatori ex art. 14-ter L. n. 3/2012[15].
La soluzione sopra prospettata presenta il vantaggio di consentire, sotto il profilo operativo, attraverso l’interpretazione conforme, l’immediata apertura del procedimento ex art. 10, comma 2, L. n. 3/2012 e, dunque, l’automatica sospensione delle azioni pregiudizievoli ai fini della conservazione del patrimonio del sovraindebitato.
Sotto altro profilo, qualora le norme ed i princìpi comunitari, come interpretati dalla Corte di Giustizia UE, in ambito di concordato preventivo – e dunque attesa l’autonomia delle due normative –, fossero ritenuti non sufficientemente dettagliati né precisi (d’altra parte, si parla di regole “implicite”), si tratterebbe di sollevare la questione di legittimità costituzionale ex artt. 10, 11 e 117 Cost., con necessità di sospendere il procedimento.
Questa è stata la via seguita dal Tribunale di Udine, il quale, con ordinanza del 14 maggio 2018, ha sottoposto all’attenzione della Corte Costituzionale la questione della falcidiabilità IVA in ambito di sovraindebitamento – rimessione che ha poi portato alla sentenza della Consulta n. 245/2019 qui segnalata.
Secondo il giudice friulano manca, in sede comunitaria, un precetto espresso che obblighi gli Stati membri di consentire ad un debitore insolvente di pagare in misura non integrale il tributo IVA, sia pure in sede di garantita procedura concorsuale.
D’altra parte, la locuzione “in ogni caso” ex art. 7, comma 1, terzo periodo, fa sì che il precetto d’infalcidiabilità dei crediti fiscali rappresenti non già una regola generale che possa ammettere deroghe implicite, bensì norma di carattere eccezionale, rispetto alla regola generale di falcidiabilità dei crediti privilegiati ove non coperti da capienza patrimoniale.
Valutato, dunque, che la vicenda debba essere risolta alla luce del quadro interno, il Tribunale di Udine ha ritenuto che il divieto di falcidiabilità IVA ex art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 fosse idoneo a determinare un contrasto con gli artt. 3 e 97, Cost.
Violerebbe il principio d’eguaglianza, il diverso trattamento fra la disciplina ex art. 182-ter e quella ex art. 7, comma 1, terzo periodo, ponendo l’imprenditore non fallibile in una situazione d’ingiustificato svantaggio rispetto a quello fallibile, in relazione ad una identica fattispecie d’inadempimento.
Violerebbe il principio di buon andamento amministrativo, la circostanza che l’art. 7, comma 1, terzo periodo, impedisca all’Amministrazione finanziaria di agire secondo criteri d’economicità e massimizzazione delle risorse, essendogli così preclusa ogni possibilità di valutare i diversi esiti ai fini della migliore esazione del tributo.
Fra l’altro, le considerazioni addotte dal Tribunale di Udine possono essere integralmente richiamate anche con riferimento alle ritenute erariali operate e non versate, ai sensi dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012.
E ciò ove anche si consideri che il credito relativo alle ritenute – a differenza del credito IVA, sottoposto, come visto, a vincoli comunitari – rappresenta una posizione creditoria di esclusiva titolarità dell’Amministrazione finanziaria.
In questo senso, il Tribunale di Livorno ha ritenuto, richiamando il più recente orientamento comunitario, che “lo stesso ragionamento deve valere per le ritenute citate nell’art. 182-ter, non avendo esse neppure quel rilievo europeo che aveva portato la Cassazione a escludere la falcidiabilità concordataria dell’IVA”[16].
Anche dunque per le ritenute erariali appare ingiustificato il diverso trattamento fra la disciplina di cui all’art. 182-ter, l. fall., che consente il pagamento del debito tributario in misura non integrale, nel rispetto dei limiti di capienza patrimoniale, e quella di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, che impone invece, “in ogni caso”, il pagamento integrale delle ritenute erariali.
6. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 245/2019, ha preliminarmente rilevato come la L. n. 3/2012, radicalmente innovata già nel corso del primo anno di vita, abbia approntato per il debitore non fallibile uno strumento normativo dalla evidente natura concorsuale, alternativo rispetto alla comune disciplina codicistica ed alle regole dell’esecuzione individuale previste dal codice di rito.
In questo senso, sottolinea la Corte, la “disciplina del sovraindebitamento appare chiaramente dominata dalla posizione di favore riconosciuta al debitore, che resta l’unico legittimato ad attivare le procedure in questione, fatta salva l’ipotesi della conversione di una delle procedure di composizione preventiva in liquidazione, giusta l’art.14-quater, comma 1, L. n. 3/2012”.
Con riferimento al caso che ha interessato il procedimento dal quale ha mosso il giudice rimettente (omologazione di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento), la Consulta ha ricordato come tale strumento sia strutturato, nei propri tratti essenziali, secondo lo schema del concordato preventivo.
Quanto sopra, fra l’altro, in termini d’iniziativa del procedimento, di contenuti non predeterminati del piano, di fattibilità dello stesso, di parità di trattamento fra creditori, di parziale spossessamento in capo al debitore, d’intervento dell’autorità giurisdizionale (ammissione ed omologazione), di votazione a maggioranza, di protezione del patrimonio del debitore, d’efficacia erga omnes del procedimento.
La Corte Costituzionale ha quindi condiviso il rilievo del giudice a quo secondo cui l’art. 273 della direttiva IVA, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE, non fa emergere un principio chiaro ed incondizionato che si ponga in una situazione d’immediata antinomia con l’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, così da poterne condurre alla diretta disapplicazione.
La Consulta ha altresì condiviso il rilievo del giudice rimettente secondo il quale non è possibile accedere ad un’interpretazione orientata dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, in senso conforme al diritto comunitario, a motivo della chiara, univoca lettera della norma interna.
In effetti, sul piano letterale – rileva il giudice delle leggi – l’uso della locuzione “in ogni caso” non consente all’interprete alcun margine di manovra, precludendo la via dell’interpretazione conforme della norma interna ai principi comunitari, a meno che non se ne voglia “stravolgere” il significato.
Del resto, secondo la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva comunitaria nell’applicazione delle norme trova un limite nei principi generali del diritto interno, dovendosi ritenere inammissibile un’interpretazione contra legem della normativa nazionale[17].
Cosicché, il tenore letterale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, data la sua “radicalità”, non consente la possibilità di accedere a soluzioni interpretative costituzionalmente orientate, né a letture alternative rispetto al complessivo quadro normativo di riferimento.
Non appare dunque possibile estendere in via diretta al procedimento di sovraindebitamento la specifica disciplina prevista per il concordato preventivo.
Nel merito, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Udine con riferimento al profilo (assorbente) del principio d’eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost.
La Consulta ha fondato il proprio ragionamento sul rilevato “parallelismo” (in termini di ratio ispiratrice e disciplina sostanziale) tra accordo di composizione della crisi e concordato preventivo.
In entrambe le procedure assume preminente rilevanza la regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, sempreché l’alternativa ipotesi liquidatoria sia meno conveniente in funzione della capienza del patrimonio oggetto di garanzia.
Al riguardo, sia l’art. 7, comma 1, L. n. 3/2012, sia gli artt. 160, comma 2, e 182-ter, comma 1, l. fall. riproducono analogo schema derogatorio rispetto al principio generale ex art. 2741 cod. civ.
Con riferimento al credito tributario, la possibilità di falcidia in caso di minore convenienza dell’alternativa ipotesi liquidatoria consente di dare concretezza ai canoni d’economicità ed efficienza cui si conforma l’azione della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost.
In questo quadro, rispetto alla generale falcidiabilità dei crediti privilegiati – e, tra questi, anche quelli tributari – il trattamento del credito IVA determina un ingiustificato disallineamento tra le due procedure concorsuali.
Se, in origine, era ammissibile un allineamento fra le stesse circa il trattamento IVA in termini d’infalcidiabilità, l’intervenuta modifica dell’art. 182-ter l. fall., in adeguamento del sistema concordatario ai principi comunitari (efficiente gestione gettito IVA), non giustifica più – attesa la natura concorsuale d’entrambi i procedimenti – un diverso trattamento fra sovraindebitamento e concordato preventivo.
Così, secondo la Corte Costituzionale, la “differenza di disciplina che oggi caratterizza il concordato preventivo e l’accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile dà luogo ad una ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento, tale da concretare l’addotta violazione dell’art. 3 Cost.”[18].
D’altra parte, le modifiche circa la “disciplina del concordato preventivo hanno determinato quella discrasia di sistema che, in origine, il legislatore aveva inteso evitare ricostruendo il contenuto della norma dettata per il sovraindebitamento del debitore non fallibile in termini sostanzialmente riproduttivi della disciplina all’epoca vigente, dettata dall’art. 182-ter l. fall.”[19].
Tale disparità di trattamento nuoce, in primo luogo, agli stessi debitori non aventi i requisiti soggettivi ed oggettivi per adire la procedura di concordato, non essendovi motivi per un diverso trattamento IVA fra sovraindebitamento e procedura concordataria.
Oltretutto, l’imprenditore agricolo, ex art. 23, comma 43, D.L. n. 98/2011, è legittimato ad avvalersi degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall., ai quali è applicabile l’art. 182-ter, di talché gli stessi possono avvalersi della possibilità di falcidiare il credito IVA, con ulteriore profilo d’ineguaglianza fra soggetti non fallibili in relazione a fattispecie identica.
In secondo luogo, la disparità di trattamento IVA nuoce ai creditori privilegiati interessati all’accordo diversi dall’ente impositore, dal momento che – venuto meno il “dogma” della intangibilità dell’IVA quale risorsa comunitaria – mal si concilia il divieto di falcidiabilità rispetto al rango “arretrato” del privilegio tributario (i creditori di grado poziore finiscono per essere posposti al creditore erariale).
Da ultimo, la Consulta – nel dichiarare illegittimo l’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, con riferimento all’IVA – ricorda come la violazione dell’art. 3 Cost. non possa ritenersi esclusa muovendo dall’assunto in base al quale la regola di falcidiabilità del credito IVA ex art. 182-ter l. fall. costituirebbe un beneficio per l’imprenditore commerciale, in deroga al principio d’indisponibilità dell’obbligazione tributaria.
Se è vero che secondo la stessa Corte un trattamento diverso in relazione a situazioni analoghe non è di per sé illegittimo, qualora il trattamento più favorevole assuma i caratteri della eccezionalità[20], la regola di falcidiabilità del credito IVA ex art. 182-ter l. fall. non rappresenta una norma di carattere eccezionale[21].
La suddetta norma non prevede infatti la possibilità di procedere alla soddisfazione parziale del credito IVA: la stessa, piuttosto, non ripropone l’originario divieto di falcidia in tema d’imposta sul valore aggiunto, conformandosi, così, al generale quadro di falcidiabilità dei crediti privilegiati.
L’art. 182-ter l. fall. non rappresenta così se non una diretta applicazione di un’indicazione di carattere generale: anche le pretese tributarie, ivi incluso il credito IVA, possono essere assolte in misura parziale, sempreché sussistano le condizioni ex art. 160, comma 2, l. fall.
Quanto sopra, adesso, per effetto della qui annotata sentenza n. 245/2019 della Corte Costituzionale, varrà anche in sede di procedimento di sovraindebitamento ex L. n. 3/2012 – e poi, ancora, come visto, per espressa opzione del legislatore della riforma, in ambito di Codice della crisi e dell’insolvenza, ex D.Lgs. n. 14/2019.
NOTE
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[1] Corte Cost., 29 novembre 2019, n. 245, pubblicata su www.ilcaso.it il 2 dicembre 2019.
[2] V. meglio infra.
[3] In questo senso, cfr. Trib. Asti, 18 novembre 2014; contra, Trib. Ascoli, 4 aprile 2014.
[4] Sulla possibilità di sottoporre a falcidia il credito fiscale si è espressamente pronunziata, in senso favorevole, la stessa Agenza delle Entrate, la quale, con circolare n. 19/E del 6 maggio 2015, ha dato atto che fra i “debiti risanabili attraverso la composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche quelli di natura tributaria”.
[5] Perlopiù disciplinati dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sia in materia d’imposte dirette, sia in materia di tributo IVA ed altri tributi indiretti.
[6] Tale norma è stata modificata, prima, dall’art. 32, comma 5, lett. a), D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, in L. n. 2/2009, poi, dall’art. 29, comma 2, D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, in L. n. 122/2010, infine, dall’art. 1, comma 81, L. n. 232/2016.
[7]Cfr. Cass., civ. sez. I, 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932; in senso conforme, v. Cass., civ. sez. I, 22 settembre 2016, n. 18561; Cass., civ. sez. I, 30 aprile 2014, n. 9541.
[8] Contra: App. Venezia, 23 dicembre 2013; App. Genova, 27 luglio 2013; Trib. Como, 29 gennaio 2013.
[9] Cass., civ. sez. un., 13 gennaio 2017, n. 760; Cass., civ. sez. un., 27 dicembre 2016, n. 26988.
[10] Trib. Verona, 10 aprile 2013.
[11] C. Cost., 25 luglio 2014, n. 225.
[12] Decisione CGEU resa con sentenza 7 aprile 2016, C–546/14, “Degano Trasporti S.a.s.“.
[13] Si veda anche, in senso conforme, la successiva sentenza della Corte di Giustizia UE depositata il 17 marzo 2017, C-493/15, “Agenzia Entrate vs Marco Identi”, resa in esito alla questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di Cassazione, Sez. IV, con ordinanza del 1° luglio 2015, n. 13542, relativa alla compatibilità con il diritto comunitario delle norme dettate dalla legge fallimentare in tema d’esdebitazione, nella parte in cui consentono la liberazione del fallito anche in caso di parziale soddisfazione del credito IVA.
[14] V., sul tema, anche Agenzia delle Entrate, circ. n. 16/E del 23 luglio 2018.
[15] In senso analogo, v. Trib. Torino, 7 agosto 2017, che peraltro opta per la disapplicazione tour court del precetto d’infalcidiabilità IVA ex art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012.
[16] Così, Trib. Livorno, 13 aprile 2016.
[17] In questo senso, cfr. Corte di Giustizia UE, 24 gennaio 2012, C-282/10, “Maribel Dominguez”.
[18] C. Cost., n. 245/2019.
[19] Ibidem.
[20] Cfr. C. Cost., 13 luglio 2017, n. 177.
[21] Cfr. Cass., civ. sez. un, 13 gennaio 2017, n. 760.
Fonte:ilcaso.it