Reati fiscali e 231: da tutelare la società che rimedia all’illecito

Di
Redazione
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15 Febbraio 2021

di Eugenio Fusco, Procuratore aggiunto della Repubblica di Milano[vsrp vsrp_id=”” class=””]

Non sarà certamente una priorità del nuovo Governo ma, a vent’anni dall’entrata in vigore della responsabilità da reato degli enti (Dlgs 8 giugno 2001, n. 231), studiosi e operatori del diritto si attendono una significativa modifica del testo normativo. Nei lustri trascorsi, se si esclude un leggero maquillage dell’articolo 6 del decreto, abbiamo assistito unicamente alla costante – e talvolta dissennata – inclusione di ulteriori fattispecie all’ormai interminabile catalogo dei reati-presupposto, da ultimo i reati tributari (articolo 25-quinquiesdecies), inseriti con il collegato fiscale alla legge di Bilancio 2020 (legge di conversione 157/2019).

La lista allargata
Sull’opportunità/inopportunità di includere anche i reati tributari si è registrato, negli anni passati, un acceso dibattito. Peraltro, gli illeciti tributari, già nell’originario impianto del Dlgs 231/2001, erano indirettamente rilevanti in quanto fattispecie prodromiche rispetto a diversi titoli di reato rientranti nell’ambito applicativo del decreto; sicché gli enti avrebbero già dovuto adottare precauzioni idonee al contenimento del rischio fiscale.

Non è questa, tuttavia, la sede per riprendere l’argomento. Preme, piuttosto, sottolineare che l’articolo 25-quinquiesdecies si è inserito in un quadro di accentuato inasprimento del regime sanzionatorio del sistema tributario. La citata legge 157/2019, oltre ad aver innalzato le cornici edittali di pena dei reati tributari più gravi, al contempo riducendo le soglie di punibilità, ha anche esteso l’ambito applicativo della confisca cosiddetta per sproporzione, che è sicuramente un efficace strumento nei confronti dei contribuenti infedeli.

Il patrimonio della società
Con l’introduzione dell’articolo 25-quinquiesdecies nel catalogo dei reati presupposto, è prevista, a carico dell’ente, una sanzione pecuniaria (quantificata in un numero di quote diversificato sulla base della gravità del reato commesso), cui si accompagna la confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo o del profitto del reato (ai sensi degli articoli 9 e 19 del Dlgs 231/2001).

Ciò modifica, ampliandola, la possibilità di incidere sul patrimonio dell’ente in relazione ai reati tributari ricompresi nell’elencazione dell’articolo 25-quinquiesdecies. Si consideri che, prima dell’introduzione della citata disposizione normativa, l’orientamento della Suprema corte – fuori dalle ipotesi in cui la persona giuridica fungeva da “schermo” fittizio – era nel senso di intervenire sui beni sociali solo nelle forme della confisca diretta e non anche per equivalente (Cassazione a Sezioni unite, n.10561/2014).

Le condotte riparatorie
È ravvisabile, nel riformato quadro sanzionatorio, una overreaction del sistema, il quale conserva, però, per il contribuente-persona fisica una via d’uscita. Ciò in quanto anche il diritto penale tributario – quale ambito del diritto tributario – ha carattere “riscossivo”, ed è perciò strutturato nel senso di incentivare (prima di tutto) la riscossione delle imposte, al punto da prevedere specifiche condotte riparatorie che bloccano la confisca e determinano l’estinzione del reato. L’articolo 13 del Dlgs 74/2000 – nel testo modificato, da ultimo, proprio dalla legge 157/2019 – prevede la non punibilità dei reati tributari nel caso di integrale pagamento degli importi dovuti (comprensivi di sanzioni e interessi), a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Ma con l’introduzione dell’articolo 25-quinquiesdecies – giusta l’autonomia della responsabilità dell’ente sancita dall’articolo 8 del Dlgs 231/2001 – la società potrà essere chiamata a rispondere anche nel caso in cui il reato si sia estinto per una causa diversa dall’amnistia, e, cioè, per il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa nei termini e con le modalità previsti dal citato articolo 13 del Dlgs 74/2000.

Dunque, la condotta riparatoria del contribuente elide la responsabilità della persona fisica ma non quella della persona giuridica ancorché fondata sul medesimo fatto. È palesemente un’incongruenza, se non una disparità di trattamento, sulla quale, nell’anno del ventennale, ci piace sperare che un esecutivo altamente competente possa trovare il tempo anche per la 231, iniziando un processo di riforma che valorizzi, al massimo, le condotte riparatorie post factum in modo da garantire all’ente, in relazione a tutti i reati presupposto, una vera e propria causa di non punibilità.

Fonte: NT+